Cresce l’astensione. Gli abitanti dell’Emilia Romagna, come i calabresi, hanno preferito non votare. I dati definitivi sull’affluenza, la percentuale di partecipanti alle regionali è ferma ben al di sotto del 40%, quasi sei-sette cittadini su dieci sarebbero, dunque, rimasti a casa. Dati che in maniera plastica raccontano la disaffezione nei confronti della politica. Ed è inutile che Matteo Renzi finga che il suo governo sia estraneo a questo risultato. È un dato trasversale che colpisce tutto lo schieramento politico istituzionale. Quello accusato delle ruberie, e delle politiche antipopolari. Cittadini sempre più lontani dai partiti, anche da quei movimenti che nascono per intercettare la protesta popolare, come il Movimento 5 Stelle, non riescono più a fare presa sull’elettorato. Male pure il Berlusca, che è evidente ha lasciato il testimone e la cura degli interessi dei suoi settori al Renzi nazionale, visto la fattuale convergenza su molti nodi. Salvini e la lega incassano la delirante campagna razzista e xenofoba. Nell’estremo sud la campagna elettorale per le elezioni regionali si è consumata all’insegna del trasversalismo e della retorica politica, vuota, senza contenuti che si è accesa solo negli ultimi giorni, in vista proprio della venuta del premier Renzi, del ministro Alfano e della giusta contestazione che li attendeva. Un vuoto di proposte politiche e di seguito, che ha costretto i big nazionali a rinunciare ai comizi in piazza e, nel frattempo, Cosenza ha vissuto giorni di forte militarizzazione del territorio. Alcuni giornalisti che, bontà loro, conoscono bene i meccanismi del voto in questa regione hanno strumentalmente agitato lo spauracchio della libertà di espressione, facendo gioco al partito democratico. Il possibile attacco alla democrazia è stato il leitmotiv della stampa mainstream per tutta la settimana. Sono state agitate le chiamate alle armi da parte del movimento cosentino con previsioni catastrofiche tanto da far decidere il comitato per l’ordine pubblico di vietare la piazza al premier e di blindare la città. Ma, nonostante i tentativi di criminalizzazionee delegittimazione prima e le cariche poi, le vie delle città sono state attraversate dal paese reale. A Parma come a Cosenza, precari, occupanti di case, studenti medi e universitari, ambientalisti e ultrà, semplici cittadini. Una composizione meticcia e determinata che ha percorso le città tra gli applausi della gente relegando il presidente del consiglio al chiuso, protetto da manganelli, blindati e lacrimogeni. A Cosenza la prima tappa del movimento è il Cinema Italia dove era barricato il ministro degli interni Alfano, anche lui in Calabria per chiudere la campagna elettorale di un altro candidato alla presidenza del consiglio; subito dopo i manifestanti si sono diretti verso Cosenza Vecchia, quartiere dove si contano cinque occupazione del Comitato Prendocasa e che ha accolto con gli applausi il passaggio del corteo. Nell’avvicinarsi all’auditorium dove stava presenziando Renzi, i manifestanti hanno trovato la strada sbarrata da un ingente schieramento di forze dell’ordine che poco dopo ha effettuato quattro cariche e lanciato alcuni lacrimogeni nel tentativo di disperdere il corteo, ma la rabbia di chi è sceso in piazza non si è spenta e i manifestanti si sono subito ricompattati e proseguito in città. Di fronte all’attacco frontale ai diritti dei lavoratori, alle necessarie occupazioni abitative, al diritto allo studio ed ai beni comuni, di precarizzazione e di sfruttamento delle risorse sempre più forti, la risposta a Parma e Cosenza -come nel resto della penisola ogni giorno-, è lo sviluppo di un opposizione crescente che non crede più alla rappresentanza, alle larghe intese, e non ha intenzione di delegare il proprio destino e quello della propria terra. Con il Piano casa, Jobs Act e Buona Scuola si cancella, di fatto, ogni residuo di welfare mentre con lo Sblocca Italia si da il via libera all’ulteriore devastamento della nostra terra permettendo mostruose colate di cemento e discariche ed inceneritori in ogni luogo. Una generazione cresce col malcontento, cresce con rabbia.
La rabbia per quanto ne possa dire Renzi, è una rabbia che si sta sviluppando in tutto il paese, come nel resto d’Europa contro le politiche che il suo governo come tutti governi porta avanti, seguendo i dettami della Troika targata Merkel. Una rabbia che ricorda e tiene viva la lotta contro il clientelismo, del nostro sud, quel grumo nero senza distinzione fra politica, massoneria e imprenditoria “legale”, borderline o del malaffare che in quelle terre ha sempre pagato poco, a nero, sfruttando e ricattando. Il Jobs Act, nella sua essenza c’è sempre stato, come il precariato, non è un invenzione odierna, sia cognitiva che manuale nelle nostre terre, ma la reale sostanza dei rapporti sociali. Un sistema, reso ora legale quindi, dove l’uomo è tornato ad essere schiavo mascherato da precario e lo sviluppo passa attraverso un sistema di produzione che fagocita le risorse naturali e i beni comuni e le restituisce sotto forma di veleni, discariche e privatizzazioni. Un sistema perverso ed iniquo, in cui chi lotta per difendere i propri diritti viene manganellato e bollato come criminale mentre chi affama, vedi sentenza Eternit. A Parma come a Cosenza, la contestazione a Renzi del 20 novembre (con tanto di democratiche manganellate) è stata una tappa di un percorso di lotta che ha visto anche il presidio in occasione dello sciopero sociale del 14 novembre. Scadenza verso la quale varie realtà locali erano impegnate da settimane, incuranti della visibilità mediatica e degli opportunismi di qualche parolaio. Allo stesso tempo, era ben chiara la natura strumentale della finta opposizione della CGIL, fino a ieri responsabile dello sfacelo dei diritti dei lavoratori e oggi presa a calci in faccia da chi ieri blandiva. A Parma il presidio era composto da USI e da quei lavoratori e gruppi che hanno la coscienza di classe come elemento caratterizzante e che guardano sindacalmente all’anarcosindacalismo e tra cui c’è rispetto: gruppo anarchico Cieri-FAI, PCL, Azione Proletaria, Rete Diritti in Casa. Sarà nostro compito da oggi continuare a muoverci per ampliare il Fronte Lo stato di cose attuale, che, a differenza di quanto dichiarato da Renzi, si cambia con la forza delle piazze e l’autorganizzazionee non con gli accordi bipartisan tra governi non eletti e lobby di potere.
La risposta del governo alle istanze ed alle rivendicazioni dei cittadini che difendono la propria terra ed il proprio futuro in questi mesi è stata chiara e netta, dagli operai di Terni fino alle famiglie di Milano che non riuscivano più a pagare l’affitto. Il dissenso non si arresta, anche se l’ordine è reprimere e zittire a colpi di manganelli. Ancora una volta è palese che questo governo dalle leggi antipopolari e supino verso Confindustria, non può muoversi senza blindare le città. Conseguentemente, deve effettuare cariche della polizia per impedire a lavoratori di protestare: questo è il vero volto dello stato. Ma nessuna violenza potrà mai impedirci di giudicare questo governo come altri governi per quello che sono: espressioni del potere politico ed economico a difesa di interessi di pochi privilegiati.
Orestes